mercoledì 7 luglio 2010

I rifiuti degli uomini

Gli uomini sono gli unici animali in grado di fabbricare materiali che il pianeta Terra non riesce a riciclare naturalmente nei suoi moti bio-geologici. Nessun animale è mai stato in grado di fare qualcosa di simile in oltre tre miliardi di anni di evoluzione, ma non sembra sia stato un buon risultato per gli uomini, sommersi come sono da montagne di immondizia (soprattutto di plastica), né per gli altri animali, soffocati o avvelenati come i capodogli o le migliaia di tartarughe che ingeriscono sacchetti di plastica alla deriva scambiandoli per meduse, o gli uccelli marini strozzati da filamenti infiniti di plastica.
Nessun luogo al mondo è immune dalla immondizia degli uomini moderni. Una ricerca britannica condotta su alcune isole deserte, a circa 9mila km a oriente dell'Australia, in mezzo all'oceano Pacifico, ha messo in luce che la piccola isola deserta di Ducie (circa 4 km2) era invasa da quasi mille oggetti di varia foggia e natura; di quasi 300 oggetti di plastica non è stato possibile identificare la funzione o il ruolo. Ogni anno sul pianeta Terra sono utilizzati (o, meglio, consumati) centinaia di miliardi di sacchetti di plastica monouso, che, se va bene, vengono gettati o abbandonati dopo mezz'ora dal loro acquisto. Solo in Europa sono 100 miliardi all'anno, con l'Italia ben in testa a ogni graduatoria con circa 20 miliardi. Eppure gli italiani sono gli ultimi a recepire la normativa europea che vorrebbe i sacchetti monouso fuori legge entro il gennaio 2010: per distinguerci abbiamo già rimandato la nostra decisione al 2011, senza ancora impegnarci. Le alternative ci sarebbero, addirittura autarchiche, visto che una delle maggiori industrie che fabbricano plastica riciclabile in amido di mais risiede a Novara. Quanto durano gli oggetti prima di scomparire? Quanto dura un avanzo di cibo (che consideriamo bio-degradabile)? In mare un torsolo di mela si deteriora in un paio di mesi, ma a terra resiste fino a sei, così come un quotidiano o una rivista, che può durare quasi un mese e mezzo contro i dieci mesi a terra. Una lattina di alluminio resiste per uno o due secoli, mentre una sigaretta può reggere circa un anno in mare e due a terra; niente rispetto a una bottiglia di plastica, che dura mezzo millennio in mare e quasi il doppio a terra. Il massimo è però raggiunto dai contenitori di vetro che - in mare o per terra non fa differenza - hanno un tempo di residenza in pratica infinito, cioè non si deteriorano mai.
Il problema è che tutti questi elementi non sono infiniti e anche di bauxite - l'ossido da cui proviene il metallo - non ci sono riserve per sempre, dunque con cosa costruiremo gli aeroplani o le pentole nel futuro, se l'alluminio prima o poi finirà? L'unico modo è di utilizzare quello già impiegato in precedenza: per ottenere 1 kg di alluminio per questa via ci vogliono solo 2mila kilocalorie, quindi, rispetto a 1 kg prodotto direttamente dalla bauxite (per cui ce ne vogliono 48mila), si risparmiano 46mila kilocalorie. O, se volete, ci vogliono 13-14 kWh per 1 kg di alluminio "nuovo" contro meno di un kWh per quello "di seconda mano", cioè riciclato, naturalmente a parità di prestazioni. Se si raddoppia la vita media di un prodotto, automaticamente si dimezzano i consumi di energia, i rifiuti, l'inquinamento e l'esaurimento delle materie prime.
Ma cosa buttiamo ogni anno noi italiani nel cassonetto delle spazzatura ? Prima di tutto materia organica - la cosiddetta "frazione umida" - che copre circa il 30% del complesso dei rifiuti solidi urbani (RSU), cioè resti di frutta e verdura, avanzi di cibo, ossa, bucce e quant'altro. Al secondo posto c'è la carta (28%), poi la plastica (16%), il legno e i tessuti (4%), il vetro (8%) e i metalli (4%), insieme agli altri rifiuti che compongono la "frazione secca". Due motivi per riciclare la frazione umida: primo, perché contaminano tutto il resto impedendone il recupero. Secondo, perché se non allontanassimo tutta quella massa di potenziali nutrienti organici dal ciclo naturale (confinandoli in discarica), come invece facciamo costantemente, potremo fare a meno delle 23 milioni e mezzo di tonnellate di fertilizzanti chimici gettati ogni anno nelle nostre campagne. ■

da Newton n° 4, Giugno 2010
articolo di Mario Tozzi,
geologo e primo ricercatore al CNR