sabato 3 settembre 2011

Sos Oceani

SOS OCEANI
REPORTAGE ESPRESSO

Le acque si alzeranno di 180 centimetri. Molte specie marine si estingueranno per asfissia e molte coste scompariranno. Per colpa della CO2. E il quadro catastrofico sul destino dei mari tracciato dagli esperti. Grazie ad anni di rilevazioni operate da migliaia di boe, laser e robot sottomarini.
DI ENRICO PEDEMONTE

Immaginate che da oggi al 2100 il livello degli oceani salga di 180 centimetri, provocando inondazioni e migrazioni di massa; e che l`anidride carbonica assorbita dalle acque metta in moto un meccanismo che provoca l`asfissia e la scomparsa di molte specie, seguendo un copione già recitato quattro volte da madre natura, nel corso di milioni di anni, in occasione delle grandi estinzioni storiche. Non si tratta di previsioni, ma di scenari considerati possibili da "Science", l`organo dell`American Association for the Advancement of Science e forse la più prestigiosa rivista scientifica del mondo, che è appena uscita con un numero speciale sugli oceani nella quale fa il punto sulle ultime ricerche e rilancia con forza l`allarme del riscaldamento globale.
Sono passati tre anni dall`ultimo rapporto dell`Ipcc (Intergovernmental Panel on Cli- mate Change) l`organismo creato dall`Onu per monitorare i rischi del cambiamento climatico. Da allora l`attenzione sul "global warming" sembra essersi appannata. Recentemente si è scoperto che alcuni scienziati hanno falsificato o esagerato alcuni dati, forse spinti più dal loro ambientalismo militante che dall`amore per la verità scientifica. Lo scandalo che ne è seguito- battezzato "climate-gate", il Watergate del clima - ha tolto mordente alla campagna, già indebolita da una crisi economica mondiale che spinge i governi a rallentare un`azione considerata troppo costosa, specie in tempi di bassa crescita.

[Un aereo in volo sullo straordinario scenario della Grande Barriera corallina australiana, la più estesa dei mondo]
[Senza più ossigeno Alcuni esemplari di pesci pagliaccio nella Milne Bay, Papua Nuova Guinea. Il rischio denunciato dagli scienziati è che molte specie di pesci possano estinguersi per asfissia a causa della troppa anidride carbonica assorbita dalle acque]
[Si perderanno chilometri di coste: quelle africane in Mozambico e Egitto. E sono a rischio il Gange e il Mekong, i Caraibi e le Maldive]

Ora "Science" mette sul piatto della bilancia il peso del suo prestigio, con un Rapporto che raccoglie e commenta tutti i risultare delle ricerche che si sono svolte negli ultimi anni, offrendo un quadro che è addirittura peggiorativo rispetto a quello presentato dall`lpcc nel 2007. I ricercatori evidenziano il ruolo fondamentale degli oceani nella stabilizzazione del clima e nel rallentamento delle conseguenze dell`effetto serra. Gli oceani occupano oltre il 70 per cento della superficie terrestre, assorbono il 25-30 per cento dell`anidride prodotta dall`uomo, il 90 per cento del calore che si accumula nel sistema Terra e costituiscono quindi un immenso termostato per il pianeta.
Ma per molti versi le grandi masse d`acqua che avvolgono il mondo sono state fino a non molto tempo fa un organismo quasi sconosciuto.
Negli ultimi anni è stata creata una rete di punti di osservazione che ogni giorno raccoglie un volume di dati a grana sempre più fine. Sparse negli oceani ci sono oggi 4.500 boe attrezzate che segnalano la temperatura delle acque, l`acidità, le caratteristiche dei venti superficiali, la concentrazione del vapore acqueo. Di queste boe, 3.300 sono Robot Argo, mini-sommergibili lunghi un paio di metri che hanno una vita media di quattro anni e ogni dieci giorni si immergono fino a due chilometri di profondità. Questi mini-sommergibili hanno cominciato il loro lavoro di vedetta dei mari nel 2000, grazie a 380 milioni di dollari investiti dalla U. S. Ocean Observatories Initiative, e ogni anno inviano ai laboratori 100 mila rapporti, frutto di altrettante immersioni. Altre boe hanno una vita più breve, sono in balia delle correnti marine e segnalano con continuità al satellite la loro posizione e i dati raccolti sulla superficie. Ma altre informazioni arrivano da migliaia di sensori sul fondo degli oceani e da decine di satelliti che dall`alto misurano l`area dei ghiacci, l`estensione del plankton, le dimensioni dei versamenti di petrolio e altre caratteristiche degli oceani in continua variazione.

[Una vista catturata dall`aereo della costa di Na Pali a Kauai, nelle Hawaii. Sotto, da sinistra, una foca marina, alcuni isolotti e il loro fondo marino della Bahamas e due squali]

[ I mari polari si sciolgono: i ghiacci che li ricoprono nei mesi estivi entro il 2037 saranno scomparsi]

Sono proprio i satelliti, grazie ai laser a microonde, a dirci che dal 1993 a oggi il livello dei mari è salito di tre, quattro millimetri all`anno: se continuasse allo stesso ritmo, in un secolo questa tendenza porterebbe a una crescita di 30, 40 centimetri. Ma non è escluso che il processo possa accelerare, e nel peggiore dei casi "Science" ipotizza un aumento di 180 centimetri, mentre il rapporto Ipcc di due anni fa fissava il "worst case scenario" a 60 centimetri.
L`aumento del livello del mare è dovuto a due cause principali: l`espansione della massa oceanica indotta dall`aumento della temperatura (che tra il `93 e il 2003 ha pesato per il 50 per cento) e lo scioglimento dei ghiacci (che in quel periodo ha avuto un ruolo minore). Ma dopo il 2003 l`aumento di temperatura delle acque superficiali ha subito un rallentamento e il suo contributo alla crescita del livello del mare è sceso, mentre è aumentato quello (oggi al 60 per cento) dei ghiacci che si sciolgono, un processo in continua accelerazione negli ultimi decenni.L'area dei ghiacciai polari cala con grande rapidità: dal 1979 a oggi la loro superficie è diminuita del 7,5 per cento, con una perdita secca di un milione e 250 mila metri quadrati. Andando avanti con questo ritmo, i ghiacciai che ricoprono la superficie del mare nel periodo estivo sono destinati a scomparire nel 2037.
Il Rapporto di "Science" è cauto, costellato di incertezze. E' noto che il riscaldamento delle acque oceaniche adiacenti ai Poli può giocare un ruolo chiave per la stabilità dei ghiacci continentali, quelli che occupano le terre della Groenlandia e dell'Antartico occidentale. Ma nessuno sa quantificare con precisione questo ruolo. Non è un' incertezza di poco conto. Se i ghiacci di Groenlandia e dell'Antartico si sciogliessero completamente causerebbero un aumento del livello del mare di 12 metri, un evento che gli esperti non prendono nemmeno in considerazione, ma che non evitano di sottolineare, per far capire quanto sia delicata la questione.
Le misure inviate dai satelliti ci dicono che l'aumento del livello del mare non è uniforme perché le acque si scaldano in modo diseguale, lo scioglimento dei ghiacci crea correnti in larga misura imprevedibili, la caduta in mare di enormi masse d'acqua dolce genera forti variazioni nella salinità. Per tutti questi effetti combinati, per esempio, negli ultimi vent'anni il livello del Pacifico occidentale è cresciuto tre volte più della media mondiale.
Gli effetti previsti dello scioglimento dei ghiacci sulle coste sono ben noti: inondazioni, penetrazione di acqua salata nelle falde acquifere, distruzione di molte zone salmastre e paludose. Sulle coste a risschi, quelle al di sotto dei dieci metri di altitudine, abita circa il 10 per cento della popolazione mondiale. La mappa di queste aree indica quasi tutte le coste africane, in particolare Egitto e Mozambico, e quelle asiatiche, dall'India orientale fino alla Cina occidentale, specie nei dintorni del delta di fiumi come il Gange, il Mekong, il Changjiang enelle aree sovrappopolate che circondano le metropoli.Tra le isole a rischio sono segnalati i Caraibi e i due arcipelaghi delle Maldive e di Tuvalu, che potrebbero essere sommersi e quindi evacuati già nel corso di questo secolo.
Lo scioglimento dei ghiacci è più nrapido del previsto, anche se non è chiaro se questo trend continuerà fino al collasso definitivo dei ghiacci polari o si fermerà dopo aver raggiunto un nuovo equilibrio. Ma poiché nella comunità scientifica prevale ormai il pessimismo per l'inerzia dei governi, si comincia a pensare alle possibili strategie per limitare i danni della deriva climatica. Il modello indicato è l'Olanda, che ha già cominciato a pianificare nuove strutture di protezione e il ripascimento delle spiagge nel mare del Nord, in un progetto che andrà avanti tutto il secolo. Ma difficilmente molti governi asiatici saranno in grado di mettere in campo cultura, risorse e tecnologia degli olandesi.
"Science" mette in guardia sull'eventualità di possibili cambiamenti non lineari, oggi imprevedibili, causati dalla rapidità dei processi in corso. Negli ultimi trent'anni la temperatura media della Terra è aumentata di 0,2 gradi ogni decennio, ma la gran parte dell'energia termica trattenuta dalla Terra è stata assorbita dagli oceani, specie in una fascia superficiale profonda 600 metri, la cui temperatura è cresciuta di 0,6 gradi negli ultimi cent'anni. La temperatura registrata nel gennaio 2010 è la seconda più alta mai riscontrata in questo mese. In che modo questo inarrestabile cambiamento è in grado di influenzare il comportamento delle correnti oceaniche che giocano un ruolo cruciale nel clima locale dei continenti, specie nell'Europa del Nord, nella biologia degli oceani e nelle sue dinamiche interne?
Susan Lozier, oceanografa della Duke University, ritiene probabile che la grande corrente oceanica che si immerge a sud della Groenlandia, percorre il fondo dei tre oceani per riemergere nell'alto Atlantico, stia rallentando per effetto del riscaldamento delle regioni polari e una diminuzione della salinità del mare in quelle zone. E questo rallentamento è destinato ad avere enormi conseguenze sul clima di diverse regioni del mondo, specie sul Nord Europa, che potrebbe perdere l'effetto equilibratore deòlla corrente del Golfo. Il cambiamento più evidente è stato notato nelle acque polari, dove la temperatura e l'acidità delle acque stanno cambiando più rapidamente che altrove. Ancora una volta gli esperti denunciano una situazione sempre più preoccupante ma mettono le mani avanti. Ammettonoche la certezza del collasso non c`è, perché più studiano l`argomento e più i meccanismi che regolano le correnti oceaniche appaiono complessi. Sono ricercatori,non indovini, e la certezza si avrà solo a disastro avvenuto.

Enrico Pedemonte
da "L'Espresso, 22 luglio 2010

martedì 14 dicembre 2010

Aree protette ...ma non dai rifiuti!

Siamo nell'area protetta dell'Oasi di Campotto, presso la Valle Santa, Argenta, Ferrara. Si tratta di un area umida importantissima per la salvaguardia del ambiente ormai quasi interamente antropizzato della pianura padana e particolarmente importante perchè area di rifugio e passaggio della fauna di migrazione, quella che i cacciatori un tempo chiamavano selvaggina di passo.Ebbene, in un area di importanza di assoluta rilevanza europea,queste foto dimostrano il degrado e la assoluta mancanza di vigilanza in cui versa questa importantissima area protetta.




E il governo Porcelloni fatti i suoi Tre Conti riduce ancora le risorse destinate all'ambiente, alla salvaguardia della natura e al nostro patrimonio artistico!

martedì 28 settembre 2010

Il Savena immerso nei rifiuti

Ho mostrato un pochino dell'immensa discarica in cui viene trasformato continuamente il fiume Reno; ricordando inoltre che buona parte di questi rifiuti finiranno per avvelenare il mare, una parte si degraderà in terra, ma tutto comunque contribuisce ad avvelenare sempre la biosfera, l'ambiente della vita.

Purtroppo questo destino è condiviso da tutti gli ambienti d'acqua. Ogni corso d'acqua, ogni specchio, ogni braccio di mare è trattato alla stregua di una discarica senza fondo.



Ho documentato, in piccolissima parte, il degrado del torrente Savena, presso Bologna, al confine fra San Lazzaro e la città di Bologna, proprio nella zona del bel Parco dei Cedri.











domenica 29 agosto 2010

Il Quinto Giorno e l'Apocalisse antropica

Sto leggendo un thriller ecologico, il romanzo dello scrittore tedesco Frank Schätzing uscito in Italia nel 2005 con il titolo "Il Quinto Giorno", titolo originale: Der Schwarm.



Il titolo originale deriva dal titolo di una relazione svolta, nel romanzo, dal personaggio dello scienziato Sigur Johanson, che si riferisce al quinto giorno, il giorno biblico, il giorno in cui Dio creò le acque.

Nonostante la trama fantascientifica, la fiction è strettamente intrecciata alla realtà. E la realtà è quella della realtà del depauperamento delle ricchezze marine, dell'inquinamento delle acque, dall'overfishing ...




mercoledì 18 agosto 2010

Siamo in bancarotta verso il pianeta Terra

La Terra va in riserva, finite le risorse naturali

Oggi su La Repubblica, articolo di Antonio Cianciullo:
Tra pochi giorni, il 21 agosto, ci saremo giocati tutto il capitale che il pianeta ha messo a disposizione. Avremo utilizzato l'acqua che si ricarica spontaneamente nelle falde, l'erba che i pascoli producono, i pesci del mare e dei laghi, i raccolti delle terre fertili, il frutto dei boschi.
E, nello stesso tempo, avremo esaurito lo spazio utile per stipare i nostri rifiuti, a cominciare dai gas serra che stanno scatenando il caos climatico.

Questa è la notizia nella sua crudezza e nudità. E l'articolista prosegue:
Dal 22 agosto si dovrebbe dichiarare la bancarotta ecologica della specie umana.
Ma visto che fermarsi è impossibile e le alternative restano nel cassetto, risolveremo il problema girando le cambiali ai nostri nipoti: sposteremo il problema nel futuro.




Quest'anno ci siamo giunti un mese prima dell'anno scorso, e l'anno scorso un mese prima dell'anno precedente...di questo passo



Risorse rinnovabili esaurite, la Terra entra in riserva

Da domani la Terra è in rosso
"Le risorse dell'anno esaurite"




vedi anche:

"Ambiente a rischio bancarotta" (La Repubblica,2005)


Il titolo di questo post riprende intenzionalmente quello di uno precedente che pubblicai su Splinder nel 2008 a commento dell'articolo su repubblica:

Settembre 2008: siamo in bancarotta verso il pianeta Terra

mercoledì 7 luglio 2010

I rifiuti degli uomini

Gli uomini sono gli unici animali in grado di fabbricare materiali che il pianeta Terra non riesce a riciclare naturalmente nei suoi moti bio-geologici. Nessun animale è mai stato in grado di fare qualcosa di simile in oltre tre miliardi di anni di evoluzione, ma non sembra sia stato un buon risultato per gli uomini, sommersi come sono da montagne di immondizia (soprattutto di plastica), né per gli altri animali, soffocati o avvelenati come i capodogli o le migliaia di tartarughe che ingeriscono sacchetti di plastica alla deriva scambiandoli per meduse, o gli uccelli marini strozzati da filamenti infiniti di plastica.
Nessun luogo al mondo è immune dalla immondizia degli uomini moderni. Una ricerca britannica condotta su alcune isole deserte, a circa 9mila km a oriente dell'Australia, in mezzo all'oceano Pacifico, ha messo in luce che la piccola isola deserta di Ducie (circa 4 km2) era invasa da quasi mille oggetti di varia foggia e natura; di quasi 300 oggetti di plastica non è stato possibile identificare la funzione o il ruolo. Ogni anno sul pianeta Terra sono utilizzati (o, meglio, consumati) centinaia di miliardi di sacchetti di plastica monouso, che, se va bene, vengono gettati o abbandonati dopo mezz'ora dal loro acquisto. Solo in Europa sono 100 miliardi all'anno, con l'Italia ben in testa a ogni graduatoria con circa 20 miliardi. Eppure gli italiani sono gli ultimi a recepire la normativa europea che vorrebbe i sacchetti monouso fuori legge entro il gennaio 2010: per distinguerci abbiamo già rimandato la nostra decisione al 2011, senza ancora impegnarci. Le alternative ci sarebbero, addirittura autarchiche, visto che una delle maggiori industrie che fabbricano plastica riciclabile in amido di mais risiede a Novara. Quanto durano gli oggetti prima di scomparire? Quanto dura un avanzo di cibo (che consideriamo bio-degradabile)? In mare un torsolo di mela si deteriora in un paio di mesi, ma a terra resiste fino a sei, così come un quotidiano o una rivista, che può durare quasi un mese e mezzo contro i dieci mesi a terra. Una lattina di alluminio resiste per uno o due secoli, mentre una sigaretta può reggere circa un anno in mare e due a terra; niente rispetto a una bottiglia di plastica, che dura mezzo millennio in mare e quasi il doppio a terra. Il massimo è però raggiunto dai contenitori di vetro che - in mare o per terra non fa differenza - hanno un tempo di residenza in pratica infinito, cioè non si deteriorano mai.
Il problema è che tutti questi elementi non sono infiniti e anche di bauxite - l'ossido da cui proviene il metallo - non ci sono riserve per sempre, dunque con cosa costruiremo gli aeroplani o le pentole nel futuro, se l'alluminio prima o poi finirà? L'unico modo è di utilizzare quello già impiegato in precedenza: per ottenere 1 kg di alluminio per questa via ci vogliono solo 2mila kilocalorie, quindi, rispetto a 1 kg prodotto direttamente dalla bauxite (per cui ce ne vogliono 48mila), si risparmiano 46mila kilocalorie. O, se volete, ci vogliono 13-14 kWh per 1 kg di alluminio "nuovo" contro meno di un kWh per quello "di seconda mano", cioè riciclato, naturalmente a parità di prestazioni. Se si raddoppia la vita media di un prodotto, automaticamente si dimezzano i consumi di energia, i rifiuti, l'inquinamento e l'esaurimento delle materie prime.
Ma cosa buttiamo ogni anno noi italiani nel cassonetto delle spazzatura ? Prima di tutto materia organica - la cosiddetta "frazione umida" - che copre circa il 30% del complesso dei rifiuti solidi urbani (RSU), cioè resti di frutta e verdura, avanzi di cibo, ossa, bucce e quant'altro. Al secondo posto c'è la carta (28%), poi la plastica (16%), il legno e i tessuti (4%), il vetro (8%) e i metalli (4%), insieme agli altri rifiuti che compongono la "frazione secca". Due motivi per riciclare la frazione umida: primo, perché contaminano tutto il resto impedendone il recupero. Secondo, perché se non allontanassimo tutta quella massa di potenziali nutrienti organici dal ciclo naturale (confinandoli in discarica), come invece facciamo costantemente, potremo fare a meno delle 23 milioni e mezzo di tonnellate di fertilizzanti chimici gettati ogni anno nelle nostre campagne. ■

da Newton n° 4, Giugno 2010
articolo di Mario Tozzi,
geologo e primo ricercatore al CNR